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Le parole e le C.A.S.E.

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Un cronista dall’aria assai importante chiede in sala stampa, in occasione dell’ennesima visita del Cavaliere. ”Ma c’è qualcuno che vive ancora dentro le tende?”. Un suo collega-sfollato si avvale della facoltà di non rispondere. Il terremoto aquilano, il più ripreso e fotografato nella storia, diventa nella cruciale fase della ricostruzione, una equivoca fiction televisiva. Con il rischio che tutti i problemi saranno risolti, e tutti gli sfollati non saranno più tali, allorchè il 50% per cento più uno dei telespettatori sarà convinto di ciò.

Apoteosi mediatica è stata il vertice del G8, che sarà ricordato per i vaghi impegni di circostanza sul come impedire che il pianeta vada a rotoli. E per la lacrimuccia di Carla Bruni tra le macerie, per la granita di patate e l’assoluto di peperone arrosto cucinati da un grande chef abruzzese, per le first lady che fanno il tagadà sopra al tappeto che simula una scossa sismica, per la tenda beduina dove ha dormito Gheddafi, meritandosi la simpatia degli aquilani.

Interessa meno sapere che la Guardia di finanza, sede del vertice e trasformata con svariati milioni di euro in una caserma a cinque stelle, è di proprietà, e tale resterà, delle banche Finnat, IMI, Barclays Capital, Royal Bank of Scotland e Leheman Brothers, prime beneficiarie, anche in occasione di questa crisi, di aiuti umanitari. Molti camerieri del G8 hanno poi lavorato in nero, e le hostess, tra cui molte sfollate, somministrate da un’agenzia, hanno vivamente protestato perchè costrette a lavorare 14 ore di fila per 75 euro.

”Vedrete cose che voi terremotati non avete mai visto”, declama il Presidente Ricostruttore, davanti al silente parterre dei giornalisti.

Nel cratere reale però gran parte delle macerie sono li dov’erano all’alba del 6 aprile, perché il Comune ha affidato senza gara un appalto da 50 milioni per la rimozione ad una ditta senza requisiti. E’ esploso uno scandalo, la magistratura indaga, le macerie attendono con compostezza. Ventimila sfollati di cui il 70% anziani, vivono da quattro mesi sotto le tende. Altri 29mila sono in villeggiatura coatta in case private e alberghi della costa, che grazie al rimborso quotidiano di 50 euro a persona hanno salvato la stagione turistica. Nelle tende fa un caldo boia e sono centinaia i casi di malori e ricoveri. ”Ci manca solo una biblica invasione delle cavallette”, scherzava un buontempone per sdrammatizzare. Detto fatto. Milioni di cavallette assediano le tendopoli di Aquila est e mentre gli sfollati lottano armati di scopa contro gli indesiderati ospiti, le banche gli ritirano dal conto la rata del mutuo, in barba alla sospensione disposta, in modo assai vago, nel decreto Abruzzo.

Il cratere somiglia sempre più ad una piscina dove nuotano squali e su cui volteggiano avvoltoi. I prezzi delle case e dei locali commerciali agibili sono infatti triplicati. ”E’ la legge della domanda e dell’offerta”, spiegano i possidenti locali. E più che della mano invisibile del mercato si dovrebbe parlare di un calcio in culo a molti aquilani.

”Alla guerra ci si va con chi ti vende le armi, al terremoto con chi ti ricostruisce le case”, sentenzia uno sfollato che la guerra l’ha fatta per davvero. Intanto il Presidente tesse le lodi dei pilastri antisismici, che ricordano tozze colonne di un tempio, e che reggeranno i prefabbricati del piano C.A.S.E. ”I primi appartamenti – assicura – saranno consegnati a metà settembre”, con tanto di tivù al plasma. Solo per 1500 sfollati, quanto basta per un trionfale taglio del nastro a reti unificate. Le altre casette saranno consegnate, ”anche gratis”, si legge nel Decreto, in totale a 12-14mila sfollati.

Mancano comunque all’appello 10mila sfollati con case distrutte, e altre migliaia che devono avviare complicati lavori di ristrutturazione. Passeranno l’inverno non si è ancora capito dove. Ad essi si aggiungono poi gli studenti e i cittadini non residenti, che nessuno calcola.

Inevitabile che nelle tendopoli già si litiga per chi andrà a vivere per primo nelle C.A.S.E.. Ma questa sarà una bega del sindaco, a cui spetta l’assegnazione degli alloggi.

Le C.A.S.E. rappresentano però il fare che si vede e si tocca con mano. E chi le contesta è preso per matto. La Protezione civile non si è fatta perciò problemi a pubblicare sul suo giornalino un articolo in cui i comitati dicono che questi quartieri diventeranno ghetti e stravolgeranno il tessuto urbano, che occorre una fase intermedia per progettare in modo partecipato ”una città laboratorio della terza rivoluzione industriale”.

Per non essere presi per matti, occorre dare i numeri. E due conti se li è fatti l’avvocato Fausto Corti sul periodico abruzzese il Controaliseo.

Finora per il piano C.A.S.E. sono stati spesi 425 milioni di euro, più 37 milioni per gli arredi, più i soldi per espropri, servizi e progettazione. In totale 700 milioni di euro, ovvero ciascuno dei 4mila appartamenti costerà la stratosferica cifra di 170mila euro, pari a circa 2.700 euro a metro quadro.

Per fare un confronto, le case di legno che un’azienda aquilana sta costruendo per i suoi dipendenti, costeranno 35mila euro l’una, quelle che ospiteranno gli abitanti di Onna avranno un costo unitario di 55mila euro.

Con 700 milioni si potevano perciò collocare 14mila tra case di legno e moderni container, confortevoli e provvisori, per ospitare già in autunno oltre 40mila sfollati. E usare le decine di milioni di euro che sara nno spesi per tenere altri mesi negli alberghi gli sfollati, per la ricostruzione della città e per il sostegno al reddito.

Un futurologo terremotato riunisce su un tavolo ritagli di giornale dove si riferisce che la ricostruzione delle seconde case di chi ha la prima beneficiaria di contributi, non sarà finanziata; 160 lavoratori della Technolabs sono ad un passo dal licenziamento, la Transcom se ne va e 400 sfollati resteranno in mezzo alla strada, la Coop chiude, la Tils è in crisi, futuro incerto per 300 dipendenti dell’Alenia. Il Premier verrà in vacanza in città.

Sono questi i fotogrammi di un’ipotetica fiction intitolata ”L.A.Q.U.I.L.A. tornerà a volare”. Scena madre: migliaia di terremotati, uno dopo l’altro, salgono sul treno con valigie e portatili, salutano col fazzoletto ed emigrano. Dopo aver venduto la casa del centro storico ai grandi immobiliaristi, a 2mila euro a metro quadro, per case che prima ne valevano anche 8mila.

Primo finale, 6 aprile 2017: i turisti a bordo della metropolitana di superficie, finalmente completata con i fondi del post-terremoto, fotografano i ruderi del centro. Nel container del Comune si litiga per le nomine al cda dell’Ente Ricostruzione. Gli abitanti del ghetto antisismico di Preturo giocano sul campo da bocce più lungo d’Europa, la pista dell’aeroporto del G8.

Secondo finale, 6 aprile 2021: L’Aquila è diventata la Porto Rotondo degli Appennini, città satellite a cinque stelle della capitale, con cui è collegata da un treno super-veloce. Carla Bruni, questa volta sorridente, passeggia tra i palazzi storici e gli innesti urbani a firma di note archi-star, a braccetto del Commissario d’Italia Guido Bertolaso. Nessuna traccia però di tanti terremotati di basso ceto sociale che oggi dormono e sperano sotto le tende. Loro, nel casting della ricostruzione, non sono stati contemplati.

Filippo Tronca (Sul numero di Carta di questa settimana)

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